Figlia mia… io gomitolo, tu filo

Non si smette mai di essere genitore.

Ti ho stretto tra le mie braccia. E cullato. Fino a farti addormentare.

Poi ti ho tenuto per mano. E accompagnato. In ogni luogo in cui sapevo che tu saresti stato bene senza avermi a fianco.

Poi ti ho invitato ad andare. Io alla finestra. Tu là fuori. Ogni tanto ti voltavi e guardavi in su per vedere se ero lì. Incrociare lo sguardo ti bastava per trovare la forza di andare sempre più lontano.

Infine ho lasciato che tu fossi altrove. Ma non ti ho mai fatto uscire dal mio cuore. Lì continuo a cullarti, a tenerti per mano. A guardarti da invisibili finestre.

Alberto Pellai

Lettera di una mamma

Dopo tre ore e mezza di compiti seduta alla scrivania, mia figlia ha aperto il quaderno per iniziare un altro lungo lavoro. Con gli occhi stanchi e la testa china, la penna tenuta in mano a fatica dopo tante ore di sforzo.

E d’un tratto l’ho guardata per ciò che è.

Una bambina di undici anni. L’ho fermata. Le ho detto: “Ora ti riposi. Chiudi i libri, mangi qualcosa, e ti metti a giocare o fare qualcosa che ti piace”.

Non mi importa se non prenderai dieci, le ho detto. Non mi importa se non avrai una media altissima, se alla fine dell’anno non sarai tra gli alunni degni di borse di studio o riconoscimenti.

Mi importa che saprai dare valore alla vita ogni giorno, perché sarai capace di trovarvi sempre qualcosa per cui vale la pena.

Mi importa che saprai amare la cultura, ma capirai che puoi farlo anche leggendo un libro o vedendo un film, e saprai che è bello poterti godere in modo sano e buono la vita.

Mi importa che cercherai di essere il meglio che puoi, ma che non serve essere i primi. A volte ti capiterà anche di arrivare ultima, e lo potrai accettare senza sentirti sbagliata e inutile.

Mi importa che capirai il valore della fatica e dell’impegno, ma che non è necessario solo essere performante e inseguire il successo: sono altri i valori che abitano il mondo, e vorrei che li scoprissi.

Mi importa che tu sappia che puoi giocare, puoi farlo anche adesso che hai quasi dodici anni, e che mi auguro che la bambina che è in te la lascerai giocare sempre, anche quando un giorno ti accorgerai che sarà diventata una donna.

Avrei voluto dirle tutto questo.

Invece le ho messo una mano sulla testa e le ho detto solo: “Ora ti riposi”.

Ho chiuso il quaderno, lei ha sorriso felice, ed è andata a giocare.

Francesca Redolfi

Persone gentili

“Mi sorprendo sempre
ad osservare lo sguardo
delle persone gentili.
Quella musica accordata
e stretta attorno al dolore
che per sempre li ha cambiati.
Quel cielo capovolto
che sembra un mare
accarezzato dal vento dei ricordi.
Quella velata dolcezza
che appare e scompare.
Quegli occhi che sono una salvezza.
Una carezza.
Dove nascere. E sognare.”
Andrew Faber

Una breve riflessione sull’olocausto

È trascorso qualche giorno dalla giornata della memoria. Ho sempre cercato di raccontare ai miei alunni cosa fosse accaduto perché ho sempre creduto che ricordare i fatti atroci dell’Olocausto, avrebbe permesso di non ripetere più gli stessi errori. Sono rimasta molto colpita da ciò che mi ha detto un mio alunno di prima elementare.

Pensava che a causare tutto quel dolore fossero stati i mostri. Lui li immaginava come delle strane creature, magari con tratti di “ anormalità”. È rimasto senza parole quando invece si è reso conto che quei mostri erano assolutamente persone normali, comuni.

Ho cercato di riflettere insieme a lui e alla classe su quanto in realtà il male possa essere banale attraverso le parole della Arendt che trovo illuminante:

Il processo ad Eichmann diede occasione a molti di riflettere sulla natura umana e dei movimenti del presente. Eichmann tutto era fuorché anormale: era questa la sua dote più spaventosa. Sarebbe stato meno temibile un mostro inumano, perché proprio in quanto tale rendeva difficile identificarvisi. Ma quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il quadro di una persona che sarebbe potuta essere chiunque: chiunque poteva essere Eichmann, sarebbe bastato essere senza consapevolezza, come lui. Prima ancora che poco intelligente, egli non aveva idee proprie e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche, ecc…
Più che l’intelligenza gli mancava la capacità di porsi il problema delle conseguenze e degli impatti delle proprie azioni.

Ricordiamo perché non accada più, ricordiamo e istruiamo perché i bambini di oggi siamo adulti migliori di noi un domani.

Vivi e respira

Quanta vita trascorsa ad inseguire ‘la cosa giusta’, a cercare di incastrare tutto, a incasellare e mortificare le proprie istanze in nome di un forma, di un ruolo, di quello che gli altri si aspettano.
Il partner, i genitori, gli amici, la società.
Pezzi di vita e di noi, schiacciati ed annichiliti in nome di un’ ostinata coerenza.
La forma, più che la sostanza.
Quanti sensi di colpa inutili, quante emozioni represse, quanti gesti dimenticati nell’oceano dei ‘se avessi..?’.

Se c’è un inferno è questo: diventare estranei a se stessi.
Per poi accorgersi che il ‘Grande Giudice’ non arriva.
Non esiste, se non dentro di noi.
Non c’è alcun podio, alcuna medaglia, alcun riconoscimento o stretta di mano.
Quel che esiste è invece la fine del tuo tempo, i tuoi ultimi respiri.

Se può esistere un ‘mai più’, è proprio questo.
Gli ultimi istanti, e quei conti da fare con se stessi: come ho vissuto la mia vita? L’insanabile tormento del ‘vorrei averlo fatto’. E il desiderio di voler dar tutto per poter tornare indietro e seguire nuovi percorsi.
Ma è un pensiero che si scioglie nel tempo, nel silenzio dell’ultimo respiro.

Ma oggi tu sei. Esisti e respiri.
Falla quella telefonata.
Alimenta quel talento.
Abbraccia quella persona.
Dillo quel ‘ti amo’ soffocato tra i silenzi del cuore.

Perdona.
Accarezza il viso dei tuoi genitori. Ringraziali, hanno fatto quel che hanno potuto.
Vivi, in tutte le sfumature del tuo Essere.
Non sei sbagliato, sei vivo.
La clessidra è lì accanto.
La sabbia scorre inesorabilmente e non ci è dato sapere per quanto ancora.
Guardala, accarezzala.
Il tempo non ti sia nemico, ma motore dei tuoi giorni.
Chiudi gli occhi e respira.
Esisti.
Ora riaprili, e vivi il tuo momento.

Sette Secondi, Oscar Travino

Riflessione

Per caso mi sono imbattuta in questo post dello scrittore Nicola Pesce che desidero condividere con voi. Mi ha colpito perché le stesse parole le sento pronunciare ai miei ex alunni con rammarico e tanta frustrazione.

Pubblico per riflettere insieme e chissà che non venga fuori qualche soluzione al problema.

“Non è colpa nostra. È questa società che ci ha reso ansiosi, spaventati, che ci fa sentire falliti e insoddisfatti.

Ci hanno fatto stare seduti in classe almeno 5 ore al giorno per venti anni, quando eravamo teneri, dicendoci che se prendevamo voti alti poi avremmo avuto vita facile, avremmo trovato lavoro. E a casa altre ore di studio!

Io a scuola mia non ho mai visto un computer! E non mi hanno mai parlato dalla Cina. Tutti i professori di inglese che ho avuto non sapevano parlare inglese. Non mi hanno mai insegnato nulla di relativo all’economia spiccia. Non mi hanno detto cosa fosse una fattura, una tassa, un assegno.

Poi ci sbarcano nel modo, come nudi sul ghiaccio, e nessuno ci vuole a lavorare. E non sappiamo fare niente. Il lavoro non c’è proprio. Va a finire che devi accettare qualunque cosa, con la laurea in un cassetto. Veramente un inutile “pezzo di carta”.

E questo ci fa sentire dei falliti. Guardiamo sul telefonino una cricca di bugiardi o di fortunati e crepiamo di invidia e di insoddisfazione, ci flagelliamo: perché loro sì e noi no? Dove abbiamo sbagliato? Da nessuna parte!

E io due cose voglio dire. In primo luogo, non è colpa nostra! Non è proprio colpa nostra. Ci hanno trascinato in questa sciocchezza. Ma se stiamo zitti un tempo sufficiente, senza tv, pubblicità, telefonini, gente come zombies, possiamo ritrovarci.

In secondo luogo, smettiamola di fare questa corsa ai soldi, a un successo da copertina, a un matrimonio da film Disney: sono tutte cose inventate. Ci hanno inculcato tutte cose che possono portarci solo a un sentimento di fallimento.

Io vorrei una nuova società. Dove il successo di una persona non si misura coi soldi. Molti sono ricchi e sono distrutti psicologicamente. Chiedetelo ai loro figli.

Vorrei che misurassimo il nostro successo con l’affetto di chi ci sta intorno, con quanto abbiamo saputo cucinare bene un piatto, con quanto ci alziamo felici dal letto la mattina, con quanto abbiamo riso, quanti baci abbiamo dato nel corso della giornata. Se abbiamo una casa quieta, se abbiamo un po’ di cultura, se amiamo leggere un libro, se pratichiamo un’arte, se la sera c’è qualcuno che ci fa una carezza.”

Un imprevedibile attimo di Luce

“Può capitare che chi in teoria dovrebbe aiutarci poi venga meno, mentre altri che non hanno nessun debito nei nostri confronti ci offrono ciò di cui abbiamo bisogno: è l’imprevedibilità di Dio. Questo, con molta umiltà, dovrebbe farci capire che il bene non sta solo da una parte, lo Spirito soffia dove vuole e suscita compassione nelle persone più disparate. Talvolta, infatti, sono le persone più inaspettate a fare la differenza. Può capitare a tutti di non essersi sentiti tutelati e sostenuti da chi “doveva” volerci bene, mentre degli estranei ci sono stati vicini come nessun altro. Se guardiamo la nostra storia, prima o poi tutti viviamo dei momenti in cui siamo indifesi proprio come l’uomo soccorso dal Samaritano. Pertanto, accettare di essere amati in quel frangente è fondamentale, serve a restituire, dopo, quell’amore. Una volta guariti ci si dona gratuitamente e spontaneamente: perché nessuno può comandarci di amare, né si capisce il valore solo dopo averlo vissuto. E Gesù ci comanda esclusivamente ciò che ci ha dato per primo.”

L. M. Epicoco, “PREGA, MANGIA, AMA. Esercizi spirituali sul Vangelo di Luca”, Edizioni San Paolo, pp. 85-86

30Dicembre 2022

Sento forte il desiderio di svelare la mia fragilità, di mostrarla a tutti coloro che mi incontrano, che mi vedono, come fosse la mia principale identificazione di uomo, di uomo in questo mondo. Un tempo mi insegnavano a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti, che avrebbero impedito di far risaltare i miei pregi e di farmi stimare. Adesso voglio parlare della mia fragilità, non mascherarla, convinto che sia una forza che aiuta a vivere.

«Fragilità» ha la stessa radice di frangere, che significa rompere.

La fragilità di un vetro pregiato di Murano o di un cristallo di Boemia: bello, elegante, ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Conoscendone la natura, si deve stare attenti a come lo si usa, a come lo si conserva: occorre tenerlo lontano da luoghi in cui si compiono azioni d’impeto, perché altrimenti quel vetro pregiato si fa nulla, solo ricordo.

«Fragile» significa anche delicato, gracile.

Come un fiore: basta un colpo di vento e un petalo si stacca e perde il suo profumo, divelto dalla sua funzione, muore.

Il contrario di fragile è resistente, tetragono, indistruttibile.

Si pensa agli oggetti in acciaio, alle rocce di una montagna. All’uomo di roccia, non di vetro, all’uomo potente, non fragile: c’è e tra un attimo potrebbe svanire, pezzi di un’unità defunta, come non fosse mai stato.

Si sente dire che l’educazione deve edificare un bambino forte, un uomo di coraggio che affronta le lotte e le vince.

La timidezza, invece, va curata e prima ancora nascosta; la paura va dimenticata e sostituita con la potenza e per questo ci si allena a battere un nemico, prima immaginario e poi di carne; e l’abilità sta proprio nel romperlo e non nel venire rotti.

Ecco la differenza tra i due opposti: la fragilità e la forza.

«Grandi» si crede siano coloro che hanno sempre vinto, mentre i «gracili» in un attimo si incrinano, si frantumano in tanti piccoli pezzi che non permettono di venire ricomposti.

Io sono fragile e, paradossalmente, sono portato a parlare di forza della fragilità: di forza, anche se lontano dalla stabilità, dalla infrangibilità.

Ho dedicato il mio tempo alla follia, al dolore mascherato di insensatezza, di depressione; alla sofferenza che si fa silenzio, che sdoppia le identità e fa di un uomo uno schizofrenico. Un lavoro che molti ritengono esclusivo dei forti, degli uomini di ferro che magari si piegano ma non si rompono, degli uomini di pietra cui il vento rende liscia la pelle, che cambiano forma, ma non perdono mai la durezza e il destino fissati per sempre.

La fragilità richiama il tempo e la caducità del tempo, del tempo che passa. Ebbene, se sono stato, e sono, un buon psichiatra, se ho aiutato i miei matti, ciò è avvenuto per la mia fragilità, per la paura di una follia che si annida dentro di me, per la fragilità che avverto capace di sdoppiarmi, di togliermi la voglia di vivere e di rendermi simile a un depresso che chiede soltanto di scomparire per cancellare il dolore di cui si sente plasmato.

E il dolore è una qualità dell’essere fragile.

Ecco perché voglio gridare la mia fragilità, dirlo ai miei matti, a tutti coloro che corrono da me per ancorarsi a una roccia. Devono sapere che semmai si attaccano a un vetro di Boemia, a un vaso di Murano, colorato, magari soffiato in forme curiose e piene di fascino. Come un vetro io, psichiatra fragile, tante volte ho corso il rischio di rompermi.

Una gracilità che però aiuta l’altro a vivere, che mi ha permesso di capire la fragilità e di rispettarla, di stare attento a non manipolare gli uomini, a non falsificarli. Ho amato persino i frammenti di uomo, mi sono dedicato con pazienza a metterne insieme i suoi pezzi.

La fragilità rifà l’uomo, mentre la potenza lo distrugge, lo riduce a frammenti che si trasformano in polvere.

(Vittorino Andreoli – L’uomo di vetro)

Buon Natale

Per questo Natale ti auguro di tornare a casa, in quella parte più intima di te stessa, in quel sacrario dove sono custoditi i tuoi desideri e i tuoi sogni più profondi e sinceri. Ti auguro di fermarti un istante per poter osservare, oltre il buio, le feritoie da cui filtra un timido raggio di Luce. Ti auguro di accogliere le tue fragilità e quelle altrui. Ti auguro di avere un cuore sempre libero e una mente lucida che ti permetta di avere uno sguardo di speranza anche quando la vita è dura e impietosa.Ti auguro di vivere senza rimandare oltre.Custodisci le persone che hai incontrato e incontrerai nel tuo cammino.

Con affetto, Dada

Buona vigilia

«Mantieni coloro che ami vicini a te, dì loro all’orecchio quanto ne hai bisogno, amali e trattali bene, prenditi tempo per dirgli “mi dispiace”, “perdonami”, “per piacere”, “grazie”, e tutte le parole d’amore che conosci.»

(Gabriel García Márquez)