Quanta vita trascorsa ad inseguire ‘la cosa giusta’, a cercare di incastrare tutto, a incasellare e mortificare le proprie istanze in nome di un forma, di un ruolo, di quello che gli altri si aspettano. Il partner, i genitori, gli amici, la società. Pezzi di vita e di noi, schiacciati ed annichiliti in nome di un’ ostinata coerenza. La forma, più che la sostanza. Quanti sensi di colpa inutili, quante emozioni represse, quanti gesti dimenticati nell’oceano dei ‘se avessi..?’.
Se c’è un inferno è questo: diventare estranei a se stessi. Per poi accorgersi che il ‘Grande Giudice’ non arriva. Non esiste, se non dentro di noi. Non c’è alcun podio, alcuna medaglia, alcun riconoscimento o stretta di mano. Quel che esiste è invece la fine del tuo tempo, i tuoi ultimi respiri.
Se può esistere un ‘mai più’, è proprio questo. Gli ultimi istanti, e quei conti da fare con se stessi: come ho vissuto la mia vita? L’insanabile tormento del ‘vorrei averlo fatto’. E il desiderio di voler dar tutto per poter tornare indietro e seguire nuovi percorsi. Ma è un pensiero che si scioglie nel tempo, nel silenzio dell’ultimo respiro.
Ma oggi tu sei. Esisti e respiri. Falla quella telefonata. Alimenta quel talento. Abbraccia quella persona. Dillo quel ‘ti amo’ soffocato tra i silenzi del cuore.
Perdona. Accarezza il viso dei tuoi genitori. Ringraziali, hanno fatto quel che hanno potuto. Vivi, in tutte le sfumature del tuo Essere. Non sei sbagliato, sei vivo. La clessidra è lì accanto. La sabbia scorre inesorabilmente e non ci è dato sapere per quanto ancora. Guardala, accarezzala. Il tempo non ti sia nemico, ma motore dei tuoi giorni. Chiudi gli occhi e respira. Esisti. Ora riaprili, e vivi il tuo momento.
Per questo Natale ti auguro di tornare a casa, in quella parte più intima di te stessa, in quel sacrario dove sono custoditi i tuoi desideri e i tuoi sogni più profondi e sinceri. Ti auguro di fermarti un istante per poter osservare, oltre il buio, le feritoie da cui filtra un timido raggio di Luce. Ti auguro di accogliere le tue fragilità e quelle altrui. Ti auguro di avere un cuore sempre libero e una mente lucida che ti permetta di avere uno sguardo di speranza anche quando la vita è dura e impietosa.Ti auguro di vivere senza rimandare oltre.Custodisci le persone che hai incontrato e incontrerai nel tuo cammino.
«Ho imparato a essere felice Là dove sono Ho imparato che ogni momento Di ogni singolo giorno Racchiude tutta la gioia Tutta la pace Tutti i fili di quella trama Che chiamiamo vita Il significato è riposto in ogni istante Non c’è un altro modo per trovarlo Percepiamo solo e soltanto ciò Che permettiamo a noi stessi Di percepire Tutti i giorni Un istante dopo l’altro.»
Oggi è la prima domenica di Avvento, tempo di attesa e preghiera, un tempo di grazia per chi nel dolore e nella sofferenza spalanca il proprio cuore in cerca di quiete e pace.
Nella domenica del profeta che richiama tante riflessioni, condivido con voi un’interessante meditazione di G. Boselli, Monaco di Bose che spero possa tornare utile a ciascuno di voi in questo straordinario momento di grazia in cui, assetati, aneliamo all’Acqua che disseta.
Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l’attesa della venuta del Signore è una dimensione per lo più assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: “Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus”.
Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l’Avvento. Io sono persuaso che l’Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l’Avvento è la chiave di tutto l’anno liturgico: l’escatologia è la verità dimenticata dell’intero anno liturgico.
L’Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell’Avvento esprimono non l’attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l’attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.
Domandiamoci: ma com’è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell’Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient’altro che l’artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi ), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.
Il modo di vivere l’Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell’escatologia ha portato l’esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l’amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l’avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull’Avvento pone una domanda:
“Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi – frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum – potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?
Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l’Avvento di Dio? Prendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell’Avvento, che hanno nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?”. (J. B. Metz, Avvento di Dio, Queriniana, Brescia 1966, p. 22.)
Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l’Avvento. In realtà l’Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l’islam, il tempo della Pasqua con l’ebraismo, ma l’attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesso: “Sì vengo presto! Amen.” (Ap 22,20) Per questo, privare l’anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.
Così compreso e vissuto, l’Avvento sarebbe il tempo dell’anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre ed a ogni costo far festa.
Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi ed affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere, ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l’uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.
Comprendere l’anno liturgico non come un ciclo, un anello chiuso su di sé, ma come un movimento elicoidale che mette la fede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili, ma è l’espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi ad una speranza.
Oggi la fede è, infatti, per lo più sperimentata come l’apertura ad una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell’anno liturgico, dare ragioni per alimentarla, per esercitarsi a credere che ci sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino (La città di Dio, VI,9,5.).
Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni di speranza, eppure questo è il compito oggi dell’anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l’uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “Rifà ciò che l’abitudine disfa. E’ la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte”
“Ciò che nella vita rimane, non sono i doni materiali, ma i ricordi dei momenti che hai vissuto e ti hanno fatto felice. La tua ricchezza non è chiusa in una cassaforte, ma nella tua mente. E’ nelle emozioni che hai provato dentro la tua anima.”
Perché l’abbiamo sepolta sotto macerie di distrazioni, di paure, di pensieri. E non sappiamo più scorgerla. In nessun luogo. Quando invece è dappertutto. Potrebbe essere una materia nuova. Una delle più importanti. Perché è proprio la meraviglia che ci fa rimanere a bocca aperta. E aprendo la bocca si apre in automatico anche il cuore. E da lì tutto entra. Senza sforzo, fatica o stanchezza. E’ ora di dare nutrimento al nostro cuore”
Vai da sola. Vai da sola nel mondo grande abbi paura portala con te che ti tiene a terra ti arma le spalle fa barriera di parole da brucare piano al sopraggiungere delle ore in cui gli umani fanno schiera si annidano per la notte, tu mastica piano parole prime abbi paura e stai in bilico sul sorriso, come fa l’ombra con le case, da lí osserva in pace l’altro che fa città fa chiarità notturna che sta al caldo anche senza veste che conteggia i volti per la cena. Tu stai sola e parla con i platani dei viali digli tutto quello che diresti a orecchie umane, meglio conservano i segreti i vegetali meglio li assumono in corteccia e linfa a fare di te amica di terra creatura di fango lasciata a seccare al bordo della notte. Sí lasciati incrinare piano piano argilla di paura e sputo di mano esperta che dalla crepa entra il soffio e ti chiama viva. Dài da mangiare agli uccelli non dimenticarlo mai: sei una briciola.
Chiudi gli occhi per un istante. Hai presente quel ronzio di pensieri che ti affatica?
Si, quello fatto di voci che dicono che tanto la vita è questa, che da sola, da solo, non puoi cambiare niente, che pure se ti riunisci insieme ad altri non potrai mai cambiare il sistema, che infondo le persone, se guardi bene, non si meritano nulla. Si, quelle voci che ti dicono che per cercare di fare qualcosa nel tuo piccolo, stai trascurando la tua di vita, e che non vedi risultati. Poi sommale a tutti i pensieri quotidiani: la spesa, le bollette, il traffico, i figli da riprendere..
Ecco, ora silenzia queste voci una ad una, fin quando non resta che il buio degli occhi chiusi, fin quando non esiste più nulla, neanche più il mondo. Senti un po’ com’è!
Bene, riaprigli occhi va’! Guardati intorno, che c’è tanto per cui ringraziare Che c’è un universo da ricreare, senza pesi sul cuore.
So che ti senti male ogni volta che mi avvicino, che ti disperi e vorresti mandarmi via subito, so che se potessi… mi uccideresti, soprattutto perché credi che sia io quella che ti vuole fare del male, ma credimi, non è così. Non sono qui per arrecarti dolore, tanto meno per farti impazzire, penso di avertelo dimostrato ogni volta che arrivo. È vero delle volte sono spaventosa ma è la mia natura. Però come vedi alla fine della giornata, non ti ho ucciso e non sei impazzito. La verità è che quando arrivo tu stai male, senti questa sensazione dolorosa nel petto. Purtroppo non ho altro modo per farmi ascoltare. Sei così impegnato a cercare successo, ad essere produttivo a dimostrare agli altri che sei degno di essere amato… e non ascolti i miei piccoli segnali.
Ricordi quella volta che hai sofferto di mal di testa? O quando hai avuto l’insonnia per più di 2 ore e ti giravi nel letto? O che ne dici di quella volta che senza un motivo apparente hai pianto? O ancora, di quella volta che ti sei sentito oppresso dentro e ti mancava l’aria e non capivi il perché? Beh, tutte quelle volte ero io, volevo solo che tu mi ascoltassi, ma non l’hai fatto.
Hai continuato a seguire il tuo ritmo frenetico di vita.
Allora ho provato qualcosa di più forte, ho provato a farti tremare l’occhio, fischiare l’orecchio, sudare le mani, ma anche in queste occasioni non mi hai voluto ascoltare. Conosci bene la mia presenza, è per questo che quando sei tranquillo o sei da solo e in solitudine… o ti fermi, mi presento, semplicemente per parlarti. Ti disperi sempre, perché con la mente non comprendi cosa ti succede, e ovviamente, con la mente razionale non mi comprenderai. Ecco perché mi sono arresa e ho deciso di scriverti. E mi congratulo con te se stai leggendo ciò che ho da dirti, perché significa che hai finalmente il coraggio di ascoltarmi, e credimi, nessuno meglio di me sa della tua grande capacità di evitarmi e scappare via, come scappare dal mostro nella foresta oscura.
Come quelle volte in cui mi eviti e ti distrai per ore davanti alla tv, vivendo la vita di altre persone che non conosci pur di non affrontare ciò che non ti piace. O che ne dici di quelle volte che con un paio di pillole hai intorpidito i tuoi nervi e le tue preoccupazione; e cosa dire di quelle altre sostanze che ti inducono lo stordimento annebbiando ogni tipo di sentimento. Spero che ora tu sia pronto. Pronto ad affrontare la tua realtà, pronto ad affrontare la verità nella tua vita senza maschere, senza scorciatoie… senza pretese.
È così che deve essere.
L’ unica cosa che ho cercando di comunicarti per tutto questo tempo: che è ora di evolversi andare avanti. Devi attuare cambiamenti molto profondi dentro di te, perché non ti stai godendo della vita e non ti senti appagato. Per questo motivo che sono qui, per aiutarti a recuperare quella pienezza che vive dentro di te; per riuscirci dovrai liberarti da tutto ciò che ti ostacola. Sono qui per aiutarti a capire cosa esattamente impedisce alla tua vita, alla tua passione di vivere la gioia. Ogni volta che entro nella tua vita, ti ricordo che non è piena e felice, quindi se dovessi tornare, non spaventarti, ma ascoltami. E se davvero mi ascolterai non ci metterai molto ad apportare i cambiamenti, li farai subito. Se vuoi sentirti bene, tutto dipende solo da te. So che lo desideri, ma allo stesso tempo so che vuoi rimanere nel tua zona comfort, nella comodità, pur di evitare ciò che ti fa male. Preferisci continuare a cercare l’approvazione e l’accettazione degli altri, facendo l’impossibile per attirare attenzione; preferisci che gli altri siano responsabili della tua persona, meno che tu di te stesso… e naturalmente ti capisco, tutti desideriamo fuggire dalle responsabilità.
Ma ho una notizia per te!
Solo entrando nel problema potrai avvicinarti a quell’esperienza di liberazione. Tu sia responsabile di te stesso e quando mi ascolterai, credimi, me ne andrò. Solo tu hai il dono di mandare via queste sensazioni spiacevoli.
C’è qualcosa di molto importante che voglio dirti, in realtà me ne andrò non appena intravedrò che stai facendo cambiamenti nella tua vita, quando vedrò che stai andando verso la tua evoluzione, pronto a crescere e a riprendere in mano la tua essenza.
Finché non lo farai, io ci sarò, sempre.
In conclusione, se oggi sono qui, perché hai bisogno di me. Hai bisogno di me, per modificare il tuo modo di interpretare la tua realtà, lascia che ti dica che è un po’ ‘distorta’. Devi liberarti di credenze che non ti aiutano e ti limitano; perdonare tutta la rabbia e riprenderti la tua libertà interiore. Soprattutto, hai bisogno di me per riconquistare il piacere di vivere, per essere te stesso, perdere la paura di rifiuto o di abbandono. Hai bisogno di me per mettere dei limiti alle persone che ti fanno del male, affinché tu possa impugnare coraggio e imparare a dire “no”. Hai bisogno di me per allontanare chi non ti merita; per smettere di dipendere dall’esistenza del tuo partner per essere felice. Una volta per tutte, bada alle sensazioni del tuo corpo. In che altro modo avresti fatto attenzione al tuo corpo? Probabilmente in molti altri modi, ma questa sta funzionando. Dai al tuo corpo il cibo di cui hai bisogno, smetti di criticare il tuo fisico e ringraziarlo, per te fa tanto. Corri, muoverti, passeggia riprendi i tuoi ritmi. Perché esplodere sempre? Perché la tristezza? Perché pretendere così tanto? Non capisco perché lo fai, hai tutto, sei tutto, hai le capacità di cui hai bisogno per creare la tua realtà, ma ti tratti come uno schiavo, sei troppo severo con te stesso. Sono qui per dirti di smetterla di farlo. Chiediti come mai non hai più equilibrio interiore. Chiediti davvero come vuoi vivere e per cosa lottare: è la tua vita! L’ unico controllo che puoi pretendere è quello di te stesso, ma per conquistarlo, devi accettare che l’hai perso, e lasciare che finalmente mi esprima, dirti che quei sintomi così orribili che ho inventato era per sostenere tutto questo e se ancora non mi accetterai, sarò ancora più forte. Quindi, la prossima volta che mi sentirai arrivare, chiudi gli occhi, spegni la mente razionale per un momento, lasciati andare… respira e cerca di comprendermi. Poi inizia il cambiamento nella tua vita con azioni chiare e specifiche, vedrai che me ne andrò. Spero di non dover entrare molte volte nella tua vita, ma se ritorno… ricordati che non voglio farti del male, voglio aiutarti a recuperare la tua strada, quella che ti renderà felice. E per finire, spero che tu possa vedermi come sono: la tua Essenza. Sono te stesso che urlo disperatamente e imploro di ascoltarmi, ti parlo dal profondo del tuo cuore, che scoraggiato cerca di farsi notare. Quello che senti non è ‘tachicardia’, sono io, la tua Essenza, che vuole semplicemente venir fuori e vivere.