Per riflettere… Primo maggio

Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, in breve un posto, un privilegio dal quale si escludono parecchi essere umani per il fatto stesso di goderne.

Simone Weil

Sulla scuola…

A scuola dovremmo insegnare tante cose.

Ad esempio che i giorni passano e noi con loro. E il tempo conta.

Dovremmo insegnare a ballare sulla paura. E a far sbocciare i fiori nel deserto.

Ad accettare la fine delle cose. Che le cose possono finire, e devono essere pronti ad accettarlo.

Insieme alle tabelline dovremmo insegnare la caducità di ciò che è importante. Tipo la vita.

Metterli davanti a un tramonto e dire: “Ora guarda come è bello”, invece di far studiare i nomi dei capoluoghi a memoria, che quelli si dimenticano e li imparano da soli.

Far conoscere la noia. Che nella noia il pensiero costruisce idee. E i nostri figli hanno bisogno di tempo lungo.

Dovremmo insegnare che la vita vale e bisogna amare. Farlo tanto e farlo bene, anche se poi l’amore finisce. Ma quello che ci ha dato, resta per sempre.

Che i sogni non li porta via il vento, ma li perdiamo noi. E bisogna lavorare con impegno e saperli rinnovare, che anche quelli seccano. Come le piante.

Dovremmo portarli in una casa di cura. Farli parlare con i nonni che hanno ancora tanto da dire e conoscono la lingua dei piccoli. Fargli sentire la loro pelle e il tempo che passa. La vita che c’è prima che sia finita.

Dovremmo insegnare che il dolore é parte dell’esistenza, e dovremmo lasciarli piangere quando si fanno male, che fa bene al cuore. E lasciarli litigare, che i litigi passano e i bambini sanno ancora volersi bene.

Dovremmo, insieme alla grammatica, insegnare a parlare delle parole. Dare i nomi ai sentimenti, che spesso sono confusi. Che da grandi non sappiamo cosa proviamo e ci perdiamo in un bicchier d’acqua.

Dovremmo farli camminare su un prato la mattina presto a piedi scalzi e far sentire il silenzio. Che quello dice cose.

Farli andare due ore alla settimana nella palestra della solitudine. Che la solitudine s’impara e non spaventa.

Dovremmo insegnare a servire a tavola. Prendersi cura dei luoghi di tutti. Che poi così lo sanno fare. Non sporcano le strade e non rovinano le città se non sono le loro.

Cucinare un piatto buono, lasciando un po’ di libertà. Che nella vita gli ingredienti vanno dosati ma l’improvvisazione non ce la insegna nessuno.

A scuola dovremmo insegnare oltre alle poesie a memoria, le canzoni. Tanto per cantare. Che la vita é davvero bella. E la musica solleva sempre. Di più nei momenti bui.

Fare esperienza del corpo. Sapere che lo abbiamo e, spesso, è il nostro migliore alleato.

Dovremmo portarli alle mostre. Che dentro a un quadro, a un’immagine, a una fotografia loro ci sanno entrare. Scavalcano luoghi e epoche in un battibaleno.

Studiare la storia di ieri ma anche di oggi. Che le guerre ci sono e lo devono sapere. Che gli altri soffrono e li devono sentire. Che qualcuno è morto per la nostra libertà e qualcun altro lotta ancora per la sua. E questa è una tristezza.

Insegnare che nel mondo non siamo uguali e potremmo parlare di meritocrazia quando tutti i bambini saranno sulla stessa linea di partenza. Finché non sarà così, sarà solo una grande truffa di cui non devono fare parte.

Ogni classe dovrebbe adottare un bambino a distanza. Ché la fortuna si divide.

Dovremmo insegnare ai bambini a poter essere ciò che sono. Anche niente, se la vita gli ha piegato le gambe da subito.

Dovremmo insegnare che le mani non si alzano e la voce neppure. Che imporre la propria volontà non serve a niente.

Che possono usare il rosa se sono maschi e l’azzurro se sono femmine. Se a loro piace. Non saremo noi a dire cosa è giusto.

Che possono perdere di brutto e chiedere scusa. Tornare indietro sui propri passi. Virare, e farlo all’improvviso.

Dovremmo farli leggere sotto le stelle. E ogni tanto fargli osservare il cielo e i suoi misteri. Che è un maestro e conosce le rotte di tutti. Far esprimere tre desideri ogni stella cadente, che i desideri nella vita hanno un peso.

Dovremmo insegnare ai bambini a prendersi cura di loro stessi, avere una piccola pianta, un pesce. Un essere di cui occuparsi, preoccuparsi, per poter amare chi hanno accanto.

Dovremmo insegnare che la scuola è di tutti e non solo di chi può permettersela. Che devono pretendere aule colorate, giuste, e spazi all’aperto, e devono curarle. Come le cose belle.

Dovremmo far mettere le mani nella terra. Che se si sporcano fa lo stesso. Il lavoro nobilita l’uomo e la fatica pure, e le scienze sono esperienza sul campo. Un lombrico trovato per caso può fare la differenza.

Dovremmo parlare ore. Che loro sanno cose sull’esistenza a noi ignote.

Dovremmo insegnare la vita. Che il resto s’impara. Quella finisce presto e dovremmo farne buon uso. Da grandi. Da subito.

E vivere è un compito urgente, più di tutto il resto.

Cinzia Pennati

La quiete. Domenica di Pasqua

Il sole splende alto nel cielo. Fin dalle prime ore del mattino s’odono gli uccelli cinquettare. Ci sono solo poche nuvole ormai di passaggio. La pioggia battente della notte , fragorosa ed inquieta, sembra solo un ricordo. Vi è una placida quiete. E’ la meraviglia della domenica di Pasqua, preludio di ciò che ci attende: pascoli erbosi, acque tranquille e la presenza del Signore con noi che ci guida passo passo, non ci lascia mai soli, che ci ricorda che siamo un dono incredibile, un aggrovigliato mistero di luce. La nostra vita non finisce con la morte ma nella morte siamo chiamati a risorgere anche noi come in un travaglio.

Buona Pasqua cari amici miei.

Con affetto,

Dada

Il silenzio del sabato. Pensieri sparsi

Il sabato, il giorno del silenzio. Ogni cosa tace. Stravolti e ammutoliti dal dolore profondo della morte in croce, non si sa più cosa aspettarsi.

Un pianto senza lacrime, a tratti sommesso, ci spinge a sperare oltre ogni speranza ciò che il cuore in fondo intuisce.

Cosa resta? Non abbiamo la forza di uscir fuori dal nostro baratro, dall’oblio delle nostre fragilità.

Solo il Verbo può tirarci fuori, consolare e donare alle nostre vite un senso, Lui che ha amato ciascuno di noi fino alla fine.

Daniela F.

Mio Dio

“Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla..”

Etty Hillesum

Figlia mia… io gomitolo, tu filo

Non si smette mai di essere genitore.

Ti ho stretto tra le mie braccia. E cullato. Fino a farti addormentare.

Poi ti ho tenuto per mano. E accompagnato. In ogni luogo in cui sapevo che tu saresti stato bene senza avermi a fianco.

Poi ti ho invitato ad andare. Io alla finestra. Tu là fuori. Ogni tanto ti voltavi e guardavi in su per vedere se ero lì. Incrociare lo sguardo ti bastava per trovare la forza di andare sempre più lontano.

Infine ho lasciato che tu fossi altrove. Ma non ti ho mai fatto uscire dal mio cuore. Lì continuo a cullarti, a tenerti per mano. A guardarti da invisibili finestre.

Alberto Pellai

Insegnare

Insegnare ai bambini che la realtà

non è soltanto quello che l’occhio vede

e l’orecchio ode e la mano può toccare,

bensì anche quel che sta nascosto

alla vista e al tatto

e si svela ogni tanto,

solo per un momento,

a chi lo cerca con gli occhi della mente

e a chi sa ascoltare e udire

con le orecchie dell’animo

e toccare con le dita del pensiero”

Amos Oz

Lettera di una mamma

Dopo tre ore e mezza di compiti seduta alla scrivania, mia figlia ha aperto il quaderno per iniziare un altro lungo lavoro. Con gli occhi stanchi e la testa china, la penna tenuta in mano a fatica dopo tante ore di sforzo.

E d’un tratto l’ho guardata per ciò che è.

Una bambina di undici anni. L’ho fermata. Le ho detto: “Ora ti riposi. Chiudi i libri, mangi qualcosa, e ti metti a giocare o fare qualcosa che ti piace”.

Non mi importa se non prenderai dieci, le ho detto. Non mi importa se non avrai una media altissima, se alla fine dell’anno non sarai tra gli alunni degni di borse di studio o riconoscimenti.

Mi importa che saprai dare valore alla vita ogni giorno, perché sarai capace di trovarvi sempre qualcosa per cui vale la pena.

Mi importa che saprai amare la cultura, ma capirai che puoi farlo anche leggendo un libro o vedendo un film, e saprai che è bello poterti godere in modo sano e buono la vita.

Mi importa che cercherai di essere il meglio che puoi, ma che non serve essere i primi. A volte ti capiterà anche di arrivare ultima, e lo potrai accettare senza sentirti sbagliata e inutile.

Mi importa che capirai il valore della fatica e dell’impegno, ma che non è necessario solo essere performante e inseguire il successo: sono altri i valori che abitano il mondo, e vorrei che li scoprissi.

Mi importa che tu sappia che puoi giocare, puoi farlo anche adesso che hai quasi dodici anni, e che mi auguro che la bambina che è in te la lascerai giocare sempre, anche quando un giorno ti accorgerai che sarà diventata una donna.

Avrei voluto dirle tutto questo.

Invece le ho messo una mano sulla testa e le ho detto solo: “Ora ti riposi”.

Ho chiuso il quaderno, lei ha sorriso felice, ed è andata a giocare.

Francesca Redolfi

Persone gentili

“Mi sorprendo sempre
ad osservare lo sguardo
delle persone gentili.
Quella musica accordata
e stretta attorno al dolore
che per sempre li ha cambiati.
Quel cielo capovolto
che sembra un mare
accarezzato dal vento dei ricordi.
Quella velata dolcezza
che appare e scompare.
Quegli occhi che sono una salvezza.
Una carezza.
Dove nascere. E sognare.”
Andrew Faber